La città si chiama Oswiecim, il nome può non dire nulla. È una piccola cittadina della Polonia, ad una manciata di km da Cracovia, ha la sua piazza attorno a cui si raccolgono i palazzi dai colori vivaci, un museo, più in là un castello: una storia come tanti luoghi dell’est europeo.
Il nome tedesco è Auschwitz, luogo che immediatamente, per il potere che alcuni nomi hanno di farsi strada nel nostro immaginario, evoca scenari diversi, non è più storia di conquiste, di re, di battaglie ma storia di orrore morte e sofferenza.
Prendi una strada che ti porta poco fuori della cittadina, attraversi boschi cupi e ti trovi lì, dove la storia non può essere ricordata senza sgomento.
E l’angoscia comincia lì, proprio davanti a quei binari che s’interrompono all’ingresso del campo, il viaggio finisce dove comincia l’orrore. Nessuna possibilità di andare avanti, di superare l’orrore, è l’ultima fermata…dalla fine del binario si accede al campo, davanti a te vedi il cancello con la scritta il lavoro rende liberi, l’inizio della beffa per milioni di esseri umani alla mercé di una logica illogica: ebrei, zingari, omosessuali, oppositori politici: persone che il partito nazional-socialista tedesco al potere in Germania, non gradisce e di cui vuole disfarsi, semplicemente…
L’orrore non è ancora del tutto percepibile, vai avanti, entri nei block e ci cammini in mezzo, all’orrore, lo tocchi, t’invade, sprigiona da quelle enormi teche di vetro con dentro montagne di capelli, di scarpe, di valigie, di protesi, di occhiali, di vestiti di bimbi, di oggetti quotidiani, testimonianze di vita in un deserto di morte
Da ogni oggetto emana speranza, illusione di poter continuare a vivere anche in un luogo diverso, lontano dalle proprie case, dal proprio paese: pettini per pettinare capelli che saranno totalmente rasati, abiti per coprire corpi che saranno ridotti allo sfinimento ed alla nudità, scarpe per proteggere piedi che cammineranno, nudi, nel fango e nel gelo, occhiali per vedere in faccia la morte propria e dei propri cari e le protesi, le protesi…arti di legno, busti, cinti ernari per sostenere brandelli di vita che saranno spenti in un lampo, soffocati nelle camere a gas e bruciati nei crematori.
L’orrore indicibile è la camera a gas dove uomini e donne, selezionati al loro arrivo, saranno condotti a morire, dove bambini, inutili all’economia del reich, entreranno, ignari di ciò che li attendeva e poi i lugubri comignoli che vomitavano le cenerei di quelle morti senza alcun senso semmai potrebbe essercene uno.
Dunque, intorno a quest’isola di morte c’è Oswiecim, la tranquilla cittadina che vive, gomito a gomito con questa lacerante testimonianza di ciò che è stato, come viveva, nel passato, ignara e inconsapevole di ciò che stava accadendo. Oppure era consapevole e indifferente?
Il viaggio ad Auschwitz è un viaggio dentro se stessi, nelle profondità della natura umana che, quando si spoglia della pietas, della capacità di provare solidarietà e rispetto per gli altri qualunque siano le loro idee, il loro colore, la loro religione, produce aberrazione e sofferenza, e che quando è indifferente diventa complice dei carnefici.
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